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I siciliani e l'ambiente federiciano

Federico II , nipote del Barbarossa, fu incoronato nel 1220, e morì nel 1250; suo figlio Manfredi, l'erede, fu sconfitto da Carlo d'Angiò del 1266. Entro questi termini cronologici piuttosto esigui si svolse l'episodio della cultura federiciana, marcato da tratti singolarissimi rispetto al resto dell'Italia duecentesca e rispetto alla più antica tradizione meridionale, ben rappresentata dal vivace "contrasto" Fresca rosa aulentissima di Cielo d'Alcamo. Infatti la corte di Federico rappresenta, col suo efficiente apparato burocratico, il superamento decisivo di quella feudale e favorisce la nascita di un ceto intellettuale nuovo, fatto non solo di nobili, ma di giuristi, di burocrati, di impiegati del regno.

Tali furono i poeti siciliani: Jacopo da Lentini , a cui la tradizione riconosce il merito di avere inventato il sonetto, fu notaio alla corte di Federico fra il 1233 e il 1240 e fu detto infatti, per antonomasia, il "notaro"; Giacomino Pugliese , identificabile con un Giacomo di Enrico di Morra morto intorno al 1266, ricoprì anche lui importanti funzioni presso la corte imperiale; Guido delle Colonne fu giudice a Messina dal 1243 al 1280 (anche Dante ne parla come "iudex de Messana"); per il messinese Stefano Protonotaro, attivo sotto Manfredi, basti l'eloquenza del soprannome.

Ma la figura certamente più emblematica è certo il poeta e cancelliere imperiale Pier delle Vigne . Nato a Capua nel 1180, da una modesta famiglia, ed entrato alla corte di Federico II come semplice scrivano, si conquistò ben presto l'ammirazione e la stima dell'imperatore, che lo promosse al grado di notaio nel 1220, di giudice di corte nel '25 e di grancancelliere imperiale nel '47. Nel 1249, accusato di tradimento, venne richiuso nella rocca di San Miniato dove poco dopo si tolse la vita.

La poesia di questi alti funzionari dell'amministrazione federiciana è poesia esclusivamente d'amore, modellata sui temi e sui motivi della lirica provenzale: il rapporto amoroso è anche qui inteso come rapporto di vassallaggio tra il signore (la donna) e il suo fedele (l'innamorato). Di più: secondo un motivo di derivazione mistica, ricalcato cioè sulla incommensurabile distanza della creatura dal Creatore, la donna assume in sé la totalità dei valori, mentre l'innamorato-vassallo proclama la propria indegnità e nullità.

R. Bruscagli, L. Caretti, G. Luti; La letteratura italiana, Mursia 1985

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