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L'età dell'Assolutismo
Carlo V lasciò a Filippo II, suo successore sul trono di Spagna, un immenso dominio e, al tempo stesso, problemi assai ardui. Il primo di questi aveva già riguardato molti sovrani cattolici ed aveva toccato in prima persona suo padre: era la lotta contro il turco. Anche il secondo grande impegno che si trovò di fronte - la lotta contro l'eresia luterana e calvinista - non era nuovo seppure, durante gli anni del suo regno, la battaglia combattuta in nome della fede cattolica e del primato della Chiesa di Roma fosse destinata ad assumere livelli di inusitata drammaticità. Tuttavia, per Filippo II, non furono solo questi i veri, grandi, nodi da sciogliere. La sua grande scommessa fu il tentativo di mantenere l'egemonia spagnola nell'Atlantico, ma proprio in questo scacchiere egli si giocò la partita decisiva. Filippo II fu un sovrano spagnolo: fulcro del suo potere fu infatti la Castiglia (la più popolosa delle regioni spagnole) e centro politico fu, a Madrid, eletta da lui stesso capitale, il palazzo-convento dell'Escorial. Gli organi di governo centrali (il Consiglio di Stato, delle Finanze, della Guerra, dell'Inquisizione e della Crociata) e quelli dei dominii (Consiglio delle Indie, d'Aragona, d'Italia, del Portogallo e dei Paesi Bassi), non ebbero tuttavia un funzionamento lineare, al contrario le procedure burocratico-amministrative si mostrarono lente e farraginose, i conflitti di interesse sempre molto forti, specialmente in periferia ove difficilissimo era far rispettare gli ordini. In politica estera l'obiettivo principale di Filippo II fu la lotta contro i Turchi. Fu infatti il suo fratellastro don Giovanni D'Austria a guidare la flotta della Lega Santa nella vittoriosa battaglia di Lepanto (1571). Sul piano economico le ricchezze che provenivano dalle colonie restarono sostanzialmente improduttive e il paese permase in una condizione di grave arretratezza: tutte le terre erano in mano ai latifondisti, l'allevamento e le attività manifatturiere avevano scarso peso, i salari, d'altra parte, erano assai alti. Nel 1575 la monarchia dichiarò bancarotta mentre gravissimi problemi politici si aprivano sul fronte occidentale. Da un lato la pirateria inglese, dall'altro l'appoggio che Elisabetta d'Inghilterra dava ai ribelli dei Paesi Bassi, oltreché la condanna a morte di Maria Stuart, furono tutti fattori che indussero Filippo II ad intraprendere una azione militare contro l'Inghilterra; ma l'Invencible Armada fu distrutta; da quel momento quasi più nessun risultato di rilievo fu raggiunto dalla Spagna in politica estera. Filippo II perse anche parte del controllo politico sui Paesi Bassi. Dal canto suo l'Inghilterra di Elisabetta I attraversava un periodo di discreta stabilità e di prosperità economica testimoniata, per esempio, dai grandi cambiamenti negli assetti della proprietà delle terre. Le recinzioni dei terreni comuni da destinare all'allevamento, la confisca e l’immissione sul mercato delle proprietà un tempo appartenute alla chiesa, la spiccata attitudine imprenditoriale della classe nobiliare inglese e della gentry (piccola nobiltà terriera e contadina), dettero una fisionomia nuova alla vita economica (e non solo ad essa) dell'isola. Nel 1584 Walter Raleigh fondò la Virginia e nel 1600 Elisabetta I fondò la Compagnia delle Indie Orientali. Quando nel 1598 e nel 1603 i due grandi sovrani Elisabetta I e Filippo II scomparvero, fu la Francia di Enrico IV ad avviarsi ad assumere il ruolo di prima potenza europea. Non dopo aver attraversato un tremendo periodo di guerre religiose accesesi tra cattolici e ugonotti (calvinisti), culminate nella strage della notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572) nella quale un gran numero di calvinisti venne trucidato dai cattolici. Anche dopo l'Editto di Nantes (con il quale gli ugonotti francesi videro riconosciuto il loro diritto alla libertà religiosa) l'Europa non conobbe anni di pace: focolai di tensione si accesero, per esempio, per il dominio del Baltico e, parimenti, fortissime tensioni religiose dilaniarono il mondo tedesco trascinando, passo dopo passo, tutte le potenze europee in un conflitto trentennale. Il Seicento fu, a conti fatti, un secolo di miserie e di splendori, di ferro e di fuoco: di asperrime contraddizioni. Nord e Sud dell'Europa si incamminarono verso destini economici differenti, e, mentre il flagello della peste colpì la penisola italiana incamminata verso un ruolo di subalternità politica e di arretratezza economica, fiorivano le economie dell'Inghilterra, dell'Olanda e della Francia. Fu allora che la Svezia affermò il suo dominio nella zona baltica mentre in Francia, Richelieu prima e Mazarino poi, dettero grande impulso al consolidamento dello Stato attraverso la costituzione di un solido meccanismo amministrativo e burocratico. Qui dopo la morte (per mano di un fanatico cattolico) di Enrico IV, il potere passò nelle mani di Maria de' Medici, reggente per Luigi XIII e ciò rafforzò vari gruppi di potere facenti capo a corte. In particolare, a partire dal 1624, la leadership fu tenuta da Richelieu, cardinale e consigliere del re. Con costui tutta la struttura dello Stato fu riorganizzata, centralizzata e posta alle dipendenze del Consiglio della Corona. Alla scomparsa di Luigi XIII e di Richelieu, essendo Luigi XIV in minorità il potere passò formalmente ad Anna d'Austria. In realtà le redini dello Stato andarono in mano del primo ministro, il cardinale Mazarino, che continuò (nel pur difficile frangente della Guerra dei Trent'anni) l'opera del predecessore Richelieu, fino a quando, dopo la sua morte, l'allora giovane Luigi XIV tornò a guidare personalmente il paese. Anche Luigi XIV (Il Re Sole) continuò su questa via riuscendo a dominare tutte le spinte centrifughe della nobiltà, imponendo il suo controllo e il suo potere assoluto. In particolare egli evitò di delegare il suo potere decisionale ad un primo ministro, ma tenne strettamente il comando nelle sue mani, coadiuvato da un gruppo di ministri di estrazione borghese e di provate capacità. Tra di essi si distinse il ministro delle finanze Colbert, che dette avvio ad una rigorosa politica (che riuscì solo in parte) di contenimento delle spese dello Stato intervenendo direttamente con provvedimenti legislativi a sostegno delle attività economiche (mercantilismo), promuovendo la presenza dei francesi in Africa, India, nelle Americhe. Nel campo della politica religiosa egli cercò di sottrarre la chiesa francese dal controllo politico di quella di Roma (gallicanesimo). In politica estera cercò di allargare i territori della Francia fino a raggiungere le cosiddette 'frontiere naturali' (ovvero ad incamerare Renania e Paesi Bassi spagnoli) e ad imporre, in linea più generale, la sua supremazia in Europa. Così facendo egli trascinò tutta l'Europa in una nuova età di conflitti: guerra di devoluzione, guerra contro l'Olanda, guerra contro Colonia e il Palatinato (guerra della Lega d'Augusta) che terminò con la pace di Rijswijk (1697). Una pace senza né vinti né vincitori che preludeva alla guerra di successione spagnola che si accenderà alla morte del re di Spagna Carlo II e con la quale si aprirà il nuovo secolo. Bibliografia F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1976 J. H. Elliot, La Spagna imperiale (1469-1716), Bologna, Il Mulino, 1982 Il Mediterraneo nella seconda metà del Cinquecento alla luce di Lepanto, Firenze, 1974
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