La storia, le leggende, i misteri

Immaginiamo qualcuno che parta da New York, Roma, Londra o Berlino, e per la prima volta nella sua vita metta piede in Africa. Noterà ben presto, specialmente nelle zone rurali, che i ragazzini usano giocare accovacciati per terra. Avvicinandosi, vedrà che i contendenti, di solito due, qualche volta quattro, hanno scavato due file di buchette e muovono rapidamente dei sassolini da una buchetta all’altra.
In qualche altra occasione lo stesso americano (o italiano, o inglese, o tedesco) potrà vedere degli adulti, uomini e donne, che giocano nello stesso modo, così come negli Stati Uniti o in Russia si usa giocare a scacchi all’aperto, o in Italia a carte ai tavolini dei caffè, muovendo però dei grossi semi grigio-verdi o giallo-bruni, oppure biglie o pietre più o meno pregiate, nelle buche intagliate in un tavoliere di legno.
Molto probabilmente, se non è già un profondo conoscitore degli usi e dei costumi africani, il nostro ipotetico viaggiatore sta scoprendo l’esistenza del Warri. Eppure si trova davanti a un gioco antichissimo, del cui piano di gioco sono stati scoperti esemplari in pietra che gli archeologi fanno risalire al 1.400-1.500 a. C., cioè a circa 3.500 anni fa.. E il fatto che a giocare siano spesso dei bambini non deve trarre in inganno. Perché quel gioco, come quasi tutti quelli più importanti del mondo ha regole di base semplici e intuitive, ma per essere giocato a un buon livello, richiede intelligenza e capacità matematiche uguali se non superiori a quelle necessarie per gli scacchi, la dama o il backgammon, gioco quest’ultimo con cui ha, fra l’altro, una certa affinità. C’è quindi una sola possibile prescrizione per chi voglia imparare a giocare bene a Warri: esercitarsi, soprattutto per acquisire il colpo d’occhio necessario per capire quali buche avversarie siano diventate più vulnerabili, dove possa arrivare la mano che state giocando, quali buche della vostra fila possano trovarsi in pericolo.
Abbiamo deciso di chiamare il gioco Warri, uno dei nomi più diffusi, ma in effetti solo uno dei tanti sotto i quali è conosciuto. Basterà, infatti, rivolgersi a un qualsiasi amico africano per rendersene conto: "Sai giocare a Warri (oppure Ayo, Adi, Adji, Owele)?" "A Cosa?" "A quel gioco con le buchette e i semi..." "Ah, certo, il Gabatà (o il Mankalah, l’Okwe, lo ‘Nciokoto...)".
In effetti, il Warri fa parte di una intera famiglia conosciuta generalmente in Occidente sotto il nome di origine araba Mancala - da ‘manqala’ o ‘mingala’, con l’accento sulla prima sillaba in Siria e sulla seconda in Egitto, derivati del dal verbo ‘naqala’, muovere - oppure come Oware o Awele. Gioco tradizionale africano, è ciò che gli scacchi sono per la Russia, il Mah-jong per i cinesi, il Pachisi per gli indiani, il Go per i giapponesi. Parlarne è come parlare delle carte da gioco: le regole variano a seconda dei popoli, delle tradizioni, dell’età dei giocatori, così come variano nella forma e nella sostanza i materiali utilizzati.
In ogni sua possibile incarnazione, il Warri ha comunque qualcosa di particolare: è un gioco in cui il caso non ha diritto di cittadinanza. Richiede solo ed esclusivamente strategia e calcolo. L’abilità più utile è quella matematica, perciò è possibile classificarlo come "gioco conta e cattura" (una definizione che ha origine inglese: "Count and Capture game"). Oppure, seguendo una classificazione più legata alla terra che alla mente, quindi più all’oggetto con cui si gioca che ai soggetti che si mettono in competizione, il Warri può essere definito "gioco semina e raccogli" oppure "gioco semi e buche".
Al di là delle varianti, il Warri prevede sempre due o più file di buche, non importa se ricavate in splendidi tavolieri di legno pregiato, di pietra, metallo, ceramica o terracotta, oppure molto più semplicemente scavate in terra. Per giocare saranno sempre necessari un certo numero di pezzi identici e indifferenziati che all’inizio della partita verranno distribuiti in numero pari nelle buche.
Le altre costanti, comuni al Warri sotto ogni latitudine, sono le seguenti:
- i pezzi non sono di nessun giocatore, o se preferite sono di entrambi , e passano dall’uno all’altro finché uno dei due non riesce a catturarli;
- le buche si trovano nel piano di gioco fra i avversari, e ad ogni giocatore appartiene un territorio o campo, rappresentato dalle serie di buche poste sul lato lungo di fronte a lui;
- per muovere, i giocatori dovranno, a turno, raccogliere tutti i pezzi contenuti in una delle buche e quindi lasciarli cadere a uno a uno nelle buche successive.
Il resto è optional: generalmente le buche sono dodici, le pedine 48, ma ci sono Warri a quattro file, Warri per quattro giocatori, Warri con più buche o più pedine, si mangia in infiniti modi diversi, la partita si conclude in maniere e in tempi anche molto differenti.
La tradizione vuole che i due giocatori si dispongano lungo l’asse Est - Ovest, sorgere e tramontare del sole sul campo di gioco. E può darsi che la tavola rappresenti il cielo ed i semi le stelle, oppure il loro moto può anche essere associato a quello delle stagioni, o allo scorrere dei mesi, i quali, anche se l’associazione è arbitraria, sono guarda caso dodici come dodici sono le buche della maggior parte dei tavolieri.
Scendendo dal cielo alla terra, l’associazione più logica e più accettata dagli etnologi è quella legata a semina e raccolto. In questo caso i due giocatori sono insieme agricoltori e predoni, o forse agricoltori con ancora forti tratti della precedente cultura nomade, che seminano dove c’è terreno fertile e poi possono difendere solo una parte del territorio, ma quando le condizioni adatte si presentano possono anche fare scorrerie nel territorio avversario, cercando di accumulare riserve alimentari nel proprio granaio, talvolta rappresentato ai due estremi del tavoliere da buche supplementari. Senza per questo fare mai la guerra: i giocatori di Warri, infatti, non devono fare i conti con l’aggressività insita in un gioco come gli scacchi, nel quale i pezzi vengono utilizzati per distruggere quelli avversari, nella riproduzione di una cruenta battaglia medioevale, oppure con le variabili fortuna-sfortuna, tanto capaci di provocare forti emozioni positive e negative, contenute nei giochi di carte o di dadi. Qui ci si cimenta più con se stessi che con l’avversario, con il quale il Warri tende piuttosto a rafforzare i legami di stima, amicizia e appartenenza culturale.

  


I semi della fortuna

Per giocare a Warri si possono scavare semplicemente due file di buche in terra e quindi usare come pedine materiali poveri e di facile reperibilità come sassolini, palline, biglie, ceci, fagioli o conchiglie Insieme ai tavolieri più ricchi, in legno pregiato, pietra , rame eccetera, le pedine possono diventare pietre preziose, semi, preziose perle. Il missionario comboniano Pier Maria Mazzola racconta di aver visto, in zona di guerra, bambini che giocavano con bossoli di proiettili. Le pedine più adeguate alle origini e al significato del Warri sono però i semi di alcune varietà di Caesalpinoideae, cioè piante diffuse in tutta la fascia tropicale dell’Africa e dell’America, in particolare in tutto il Centro America, nei Caraibi e in Messico. Sono i semi che vedete in questo web, e potete perfino sentire mentre giocate, ascoltando il caratteristico suono prodotto dall’impatto del seme con il legno.
Rotondi, grandi come nocciole, la superficie dura e brillante, di colore grigio, spesso tendente al verde, o giallo-bruni, i semi sono prodotti da due alberi conosciuti nella comunità scientifica come Caesalpinia bonduc e Caesalpinia major , due nomi che traggono origine dal botanico italiano Andrea Caesalpini, autore nel 1583 del trattato ‘De Plantis Libri’. Senza un nome comune in italiano, i semi di Caesalpinia sono chiamati in inglese "Nickernuts" da "nicker", termine che in inglese arcaico significava "pallina", ma stava anche a indicare la moneta da una sterlina.
In Africa, quegli alberi e quei semi si chiamano spesso come il gioco ‘semina e raccogli’.
Ed come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina cercare di capire se è il gioco ad avere dato nome all’albero e al suo seme o sono stati albero e seme ad aver dato nome al gioco: Adi, Adji, Ayò, Dara, Oware, eccetera.
Anche se la Caesalpinia bonduc e la Caesalpinia major non sono fra i membri economicamente più importanti della loro famiglia, ai ‘nickernuts’ sono attribuiti notevoli poteri sia magici che medicinali. Sono considerati portatori di fortuna e usati come amuleti per difendersi dagli spiriti maligni, compreso il diavolo in persona. La farmacopea popolare africana ne ha fatto la base di numerosi rimedi naturali per dissenteria, raffreddore, mal di testa e attribuisce loro proprietà anti-batteriche o anti-fungine, capacità toniche, afrodisiache e di cura per la sterilità femminile; l’estratto che se ne ottiene, contenente bonducina, era detto "chinino dei poveri" e utilizzato nella cura delle febbri malariche .
Attualmente oltre ad essere sfruttati come pedine del Warri, i ‘nikernuts’ sono spesso utilizzati dagli artigiani africani, del Centro America e dei Caraibi per realizzare collane, braccialetti e ciondoli, spesso insieme ad altri semi colorati.

Quando, conquistati dal Warri virtuale, deciderete di comprarne uno concreto, che si possa toccare, ricordatevi che la notte non va chiuso da qualche parte, ma lasciato all’aperto a disposizione di fantasmi, spiriti, zombie, dei o quant’altro di misterioso possa circolare dopo il tramonto : attratte dal Warri, la creature della notte si metteranno a giocare e, contando e catturando, seminando e raccogliendo faranno mattina, lasciando in pace gli abitanti della casa.
Questa è una delle tante leggende, credenze e storie che circondano il Warri, come d’altronde avviene in tutti i casi di giochi che affondano le loro origini nel passato remoto dell’uomo.
Il gioco, nella tradizione africana, ma anche brasiliana e caraibica, conserva un alone magico. Addirittura, in Brasile, dove è arrivato con gli schiavi africani, è ormai quasi del tutto abbandonato nella sua veste di passatempo, e conserva un posto solo nei rituali magici candomblé.
Si dice che presso alcune tribù il gioco fosse riservato a capi e stregoni e normalmente proibito dopo il tramonto - quando il campo viene appunto preso da entità soprannaturali - anche se proprio a un torneo notturno di Warri poteva essere assegnato il compito di fare emergere l’uomo destinato a fare il re. Sempre in tema di capi e re, a leggenda rodhesiana racconta che i capi Munyama e Malumbwe abbiano concluso la guerra fra i loro villaggi giocando a Warri, in quella zona chiamato Chisolo: per la cronaca, il vincitore fu Malumbwe, che sconfisse Munyama 4 a uno.
Essendo il Warri un gioco semplice che - aggiungendo regole e complicazioni - può diventare anche molto difficile, ne esistono varianti per adulti e bambini, e Carlo Zampolini ne cita due arabe, differenziate anche nel nome proprio a seconda del’età dei giocatori: Lib el-ghascim, il ‘gioco dello Sciocco’, per i ragazzi, ‘Lib el-Akil, il ‘gioco del saggio’, per gli adulti.
A seconda dei popoli, varia anche è l’attribuzione sessuale del gioco. Nel Dahomey, in Costa d’Avorio, nel Senegal, ma anche a Cylon fra i Tamil, il Warri è considerato un gioco da donne, mentre padre Pier Maria Mazzola, missionario comboniano, racconta che i bayeke dello Zaire vietano il gioco alle loro donne, non tanto per una ragione rituale quanto per timore che si appassionassero tanto al Warri da trascurare i lavori domestici.
Anche nel Transvaal settentrionale possono giocare a Warri solo gli uomini, i quali durante la stagione delle piogge sono a loro volta limitati da un curioso tabù: guai a giocare utilizzando semi o noccioli, perché il rumore che producono durante la semina nelle buche potrebbe attirare le tempeste.
Sempre nel Transvaal viene utilizzato il Warri più grande del mondo, chiamato Mefuhva, che conta fino a quattro file di buche, composte ciascuna da ben 28 buche. Per fabbricarlo a regola d’arte, è necessaria una trave lunga più o meno un metro e larga circa 30 centimetri.

Home - Copyright Si.lab 1999 - tutti i diritti riservati