Il Warri nel mondo

I Masai, che lo chiamano Kiuthi, dicono che il gioco ‘semina e raccogli’ è il più antico del mondo ed è stato inventato da Sindillo, il figlio del primo uomo, Maitoumbe. E aggiungono che il suo primo nome non è stato né Kiuthi, né Warri, né Awele né Mancala, ma Geshe.
Se non così vicina alla nascita del mondo, l’invenzione del Warri è senz’altro remota e ne fa uno dei giochi più antichi del mondo. Addirittura, c'è chi la fa risalire ai Sumeri, che avrebbero trasformato in un gioco il contenitore e i grani utilizzati originariamente per fare i conti. Ma la culla più probabile di questo gioco è l’Egitto, dove sono stati trovati tavolieri in pietra risalenti a circa 1.500 anni a. C., e quindi vecchi di 3.500 anni: nel tempio di Kurna, a Tebe, ne sono stati scoperti esemplari con sei, sette o otto buche; un tavoliere da Warri è scolpito in cima a un pilone all’ingresso del tempio di Karnak, altri erano stati scolpiti nei pressi della piramide di Cheope e del tempio di Luxor.

Si può quindi supporre che il Warri abbia cominciato il suo cammino partendo dall’Alto Nilo, abbia preso piede nel mondo arabo, diffondendosi nei secoli anche ad Est seguendo la direttrice espansiva della cultura musulmana e le vie seguite dalle carovaniere dei mercanti - per esempio si trovano giochi simili al Warri in India, dove si chiama Tchuka Ruma, nello Sri Lanka, dove è conosciuto come Pallanguli, nel Borneo, dov’è chiamato Ot-Tijn, in Indonesia dove diventa Conglak - si sia spinto fino alle Filippine ma soprattutto abbia conquistato l’Africa Nera. Infatti, altri antichi esemplari del tavoliere sono stati trovati nello Zimbabwe, in Uganda, nel tempio di Tarkora in Ghana. Splendidi tavolieri - in certi casi vere opere d’arte africana, con figure di uomini o animali, con riferimenti religiosi e rituali - sono conservati in molti musei africani e in alcuni musei occidentali, come il British Museum.
Nel suo cammino alla conquista dell’Africa, il Warri si è modificato in centinaia di diverse varianti, adattandosi alle caratteristiche e alle attitudini dei diversi popoli, delle diverse tribù e perfino dei diversi villaggi, ed ha assunto un numero ancor più vasto di nomi. Nel solo Shaba, la provincia dello Zaire più nota con il vecchio nome di Katanga, il gioco ‘semina e raccogli’ diventa Lisolo tra i Babemba, Kisolo e Kisumbi fra i Baluba e i Basanga; Tshiela tra gli Tshokwe e i Lunda. Passando in Nigeria scopriamo che gli Haussa lo chiamano Dara o Darra, gli Yoruba Ayo, Ayoyayo o J’erin (mentre i bambini giocano a J’odu), gli Ibo Ikwe o Owke. I senegalesi lo conoscono come Wari, nel Dahomey è chiamato Adijto, in Tanzania è il Mwelso...

  

Con la tratta degli schiavi, il Warri è stato ‘esportato’ nelle Americhe, ed in particolare nei Caraibi, nelle Antille, in Brasile e in Louisiana, Stato cotoniero in cui i neri sono circa la metà della popolazione . Tanto che oggi il gran numero di varianti e di nomi del Warri è diventato un potente strumento di indagine etnologica: osservando come giocano i discendenti di quegli schiavi si possono rintracciare, parafrasando il celebre libro di Alex Haley, le loro ‘radici’.
Dopo essere stato ignorato per secoli dalla cultura anglosassone ed europea, solo recentemente, sull’onda della riscoperta dei giochi di altre civiltà, di altre epoche e di altre culture, il Warri ha cominciato ad acquistare visibilità negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei. Patty A. Hardy, che al Warri dedica un sito Internet, ricorda l’Oh-Wah-Ree, lanciato sul mercato americano nel ‘62 come gioco egiziano, e Mandinka, distribuito alla fine degli anni Settanta e pubblicizzato come ‘Un antico gioco di strategia africano’. In Europa, sono soprattutto i produttori di giochi inglesi, danesi e svedesi ad essersi cimentati nella produzione di tavolieri per Warri. In Italia è la Dal Negro di Treviso ad avere in catalogo il gioco, con tavoliere e pezzi in legno, commercializzato con il nome di Awélé Mancala.

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