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La Guerra Fredda
Alla fine della seconda guerra mondiale, la creazione di “zone di influenza” in Europa e in Estremo Oriente tra gli Stati Uniti (e i loro alleati occidentali) e l’Unione Sovietica (con la nascita di “repubbliche democratiche”), portò necessariamente a frizioni e dissensi fino alla rottura dell'alleanza antifascista. In gioco era l'egemonia mondiale, su ogni scacchiere. La fine della "guerra calda", della guerra combattuta, provocò alla fine la divisione del mondo. L'Europa, fu detto, era separata da una cortina di ferro. La Germania, potenza vinta, fu divisa in due stati contrapposti: la Germania spaccata diveniva così l’avamposto di questa frattura. Da freddo il conflitto rischiava però di ritornare caldo a causa del clima di contrapposizione ideologica fra i due schieramenti e per il peso dei rispettivi complessi militar-industriali. È vero che dal 1952 alcuni importanti paesi del Terzo Mondo si erano dichiarati "non allineati", alcuni sperando di arrestare la spirale della Guerra Fredda, altri semplicemente favorendo la politica dell'URSS. In alcune occasioni il mondo temette di essere riportato sull'orlo di un conflitto generale. Il timore era accresciuto dal fatto che, nel frattempo, la proliferazione nucleare aveva fatto sì che non solo gli USA ma anche URSS, Francia, Gran Bretagna, Cina e alcuni paesi del Terzo Mondo fossero ormai in possesso (o in grado di fabbricare) armi nucleari. Dalle paure della Guerra Fredda nacque così la più generale consapevolezza della necessità di una distensione, di una "coesistenza pacifica". I primi timidi segnali apparvero dopo la morte di Stalin nel 1953. D'altronde, il lungo dopoguerra non era stato solo un periodo di continua e pericolosa frizione internazionale. Vi era stato, ad esempio, il positivo sostegno degli Stati Uniti alla ricostruzione dell’Europa grazie al Piano Marshall, rifiutato dai paesi dell'Est per imposizione di Mosca. Eccezionali furono anche i segni di un mondo in movimento e in sviluppo. All'esterno, gli imperi coloniali britannici e francesi tramontarono (ricordiamo il 1960, anno dell'Africa). All'interno l'Occidente conobbe una spettacolare crescita economica e sociale ed anche civile: le società si modernizzavano, il mondo del lavoro premeva per nuovi diritti e nuove conquiste, i giovani e gli studenti contestavano e si mobilitavano per spazi sempre maggiori, lotte operaie di tipo e compattezza nuove riproponevano le richieste del mondo del lavoro, mobilitazioni e agitazioni studentesche (soprattutto alla fine degli anni Sessanta) evidenziavano i termini nuovi della questione giovanile. Nel frattempo, aneliti di libertà e democrazia percorrevano il "campo socialista", che dopo il 1945 aveva conosciuto un modello politico ed economico che sembrava garantire qualche benessere sociale a prezzo però della perdita delle sovranità nazionali e delle libertà dei popoli che di questo “campo” facevano parte. Bibliografia Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, Laterza, 1994 Carlo Pinzani, Da Roosevelt a Gorbaciov. Storia delle relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel dopoguerra, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990
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