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La Rivoluzione Russa

L'impero russo zarista, già indebolito dalla rivoluzione e dalle sconfitte militari da parte del Giappone nel 1905, cui erano seguiti tentativi di riforme politiche e economiche, non resse alla prova della prima guerra mondiale. Nel febbraio 1917 la rivoluzione scoppiò a Pietroburgo e impose un mutamento costituzionale di governo e la caduta dello zar. Mentre la rivoluzione si organizzava in soviet (consigli) di operai e soldati, la lotta politica fra i vari partiti (costituzionali, socialisti rivoluzionari, socialdemocratici menscevichi e bolscevichi) si fece acuta. Sotto la guida di Lenin nell'ottobre 1917 il partito bolscevico guidò l'assalto al Palazzo d'Inverno, sede del governo liberal-costituzionale che aveva preso il potere a febbraio. Morì così l'impero zarista, nacque il potere dei soviet, la rivoluzione proletaria.

Il movimento operaio e socialista internazionale vide così avverarsi, fra i lutti della Grande Guerra, il sogno di una rivoluzione proletaria, non in quell'Europa occidentale o negli Stati Uniti d’America dove Karl Marx l'aveva preconizzata, ma nella vecchia Russia.

I compiti che ricaddero su Lenin, sul partito bolscevico e sul potere sovietico furono enormi: firmare la pace in piena guerra mondiale, dare la terra ai contadini, soddisfare le ansie delle varie nazionalità dell'ex-impero, prendere possesso delle redini del paese (nazionalizzandone i centri economici fondamentali). Il nuovo regime, si trovò a combattere non solo le ostilità delle cancellerie straniere ma anche la vera e propria controrivoluzione interna che queste rinfocolavano, agitando le tante contraddizioni della vecchia Russia.

Sono gli anni dell’aspra guerra civile, combattuta sino al 1921, e dei rigori del "comunismo di guerra"; ma sono anche gli anni dell'emozione rivoluzionaria, della speranza di potere "esportare la rivoluzione" in Europa come in Oriente, dell'avvio della Terza Internazionale. Ed ecco Lenin lanciare infine una nuova politica economica, la NEP, destinata ad aumentare i consensi interni, dopo i primi rigori del potere rivoluzionario e le restrizioni che a avevano provocato carestie e fame.

Ma Lenin, gravemente ammalato, morì nel 1924. Nella lotta per la successione si affermò il georgiano Stalin, grande conoscitore dell'apparato del partito bolscevico. Nei grandi dibattiti teorici e politici su come far decollare economicamente l'Unione Sovietica, Stalin cercò di apparire dapprima come l'uomo della mediazione, del centro: così facendo emarginò prima ed eliminò poi sia la sinistra di Trockij (che puntava sulla rivoluzione permanente) sia la destra di Bucharin, favorevole alla NEP per non dire poi di Kamenev e Zinov’ev.

Sotto la pesante tutela di Stalin, si costruì il "socialismo in un paese solo". Il mito della pianificazione centralizzata, l'industrializzazione e la collettivizzazione forzata delle campagne, ma anche i processi politici e penali sommari contro gli avversari ed un clima di vero e proprio terrore sono gli ingredienti di una colossale trasformazione politica ed economica che investì l'Unione Sovietica negli anni Trenta.

La seconda guerra mondiale e l'invasione nazista colse l'URSS in questo delicato ma anche traumatico passaggio. Stalin fece allora appello in campo internazionale alla solidarietà antifascista e all'interno alla riscossa nazionale: al termine della "grande guerra patriottica" usufruì di una rinnovata legittimazione. L'Unione Sovietica è ormai nel 1945 una superpotenza e si trova a partecipare al governo del mondo, nel clima infuocato della Guerra fredda. Il campo socialista si è allargato prima all'Europa orientale, con le "democrazie popolari" sotto stretta tutela sovietica, poi all'immensa Cina.

All'interno però le strutture del regime sovietico e le basi del potere di Stalin sono le stesse. Mentre il processo di democratizzazione e industrializzazione trasforma l'Occidente, l'Unione Sovietica rimane soffocata da una pianificazione centralizzata sempre meno efficace, da un'economia che cresce, ma sempre esposta a crisi strutturali, da un nazionalismo russo sempre più oppressivo e mortificante per le altre nazionalità, da un controllo ideologico e poliziesco sempre più autoritario, da un PCUS ormai solo burocratico, dal culto della personalità staliniana. La vergogna dei gulag, la riduzione a problema penale del controllo dell'ordine sociale e dell'opposizione politica, la mancanza di ogni forma di libertà e di critica politica, è destinata a risaltare sempre più in questo contesto.

Quando Stalin muore, nel 1953, l'URSS è sì una grande potenza, ma è anche solcata da formidabili contraddizioni.

Bibliografia

E.H. Carr, Storia della Russia sovietica, Torino, Einaudi, 1972-1975

Nicola Werth, Storia dell'Unione sovietica. Dall'impero russo alla Comunità degli stati indipendenti 1900-1991, Bologna, Il mulino, 1993