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Gengis Khan e l’impero mongolo
All'inizio del XIII secolo, con furia improvvisa e devastatrice, fanno la loro comparsa sulla scena mondiale i Mongoli. Si tratta di un gruppo di popolazioni centro-asiatiche, divise da secoli in tribù, all'interno delle quali aveva a lungo predominato quella dei Tatari, stanziata nell'attuale Mongolia orientale. Sono in prevalenza pastori, e perciò costretti a migrazioni periodiche e alla vita nomade, secondo le variazioni del clima della steppa e dello stato dei pascoli; ma non mancano fra loro i cacciatori e i pescatori. Fin dall'infanzia imparano a cavalcare e a maneggiare con abilità l'arco e le frecce, la sciabola ricurva, la lancia di ferro. Già nel XII secolo si era registrato il tentativo, coronato da un temporaneo successo, di unificare alcune di queste tribù sotto un "regno", ma è senza dubbio merito della personale genialità di Temujin, più conosciuto con l'appellativo onorifico di Gengis Khan, l'avere trasformato stabilmente un coacervo di clan in perenne contrasto fra loro in un esercito compatto sotto un unico sovrano, pronto all'assalto contro i popoli sedentari del continente eurasiatico. In effetti nel giro di meno di vent'anni, tra il 1206 e il 1227, i Mongoli di Gengis Khan sottomettono la Cina settentrionale, l'Asia centrale e quasi tutta la Persia, arrivando a costituire un impero che si estende dal Pacifico al Mar Caspio. Ogodai, figlio e successore di Gengis Khan, lo ingrandisce ulteriormente verso nord-est, ma soprattutto si volge verso l'Europa: a partire dal 1236 la Bulgaria, la Russia meridionale, l'Ucraina, la Polonia, la Moravia, l'Ungheria, la Croazia devono sopportare violenze e devastazioni inenarrabili. Nel 1241 i Mongoli sconfiggono la cavalleria tedesco-polacca a Liegnitz e gli ungheresi sul fiume Sajo, poi prendono Pest: una colonna raggiunge i dintorni di Vienna, un'altra si spinge in Friuli fino ad Udine. Quando l'invasione dell'Occidente appare inevitabile, la notizia della morte del Gran Khan Ogodai induce le armate ad arrestare la propria avanzata e a ripiegare verso le terre d'origine. Il nuovo capo, eletto in una grande assemblea nella regione di Gobi, indirizza i suoi cavalieri verso un obiettivo diverso: il Medio Oriente musulmano. Sotto il comando di Hulagu i Mongoli annientano il califfato degli Abbasidi e si insediano a Baghdad, prima di essere fermati nel 1260 da un esercito del sultano mamelucco d'Egitto nella battaglia di Ain Gialut, presso Nazareth. Da allora l'Europa guarda ai Mongoli con simpatia: spera in una loro conversione e nella possibilità di costituire un fronte comune contro l'Islam; considera positiva la "pace mongolica" imposta all'Asia, che, garantendo la sicurezza delle vie carovaniere, consente lo sviluppo di relazioni commerciali e culturali tra mondi così diversi e lontani. Missionari, ambasciatori, mercanti e avventurieri si spingono sempre più frequentemente nei territori dell'impero, e il movimento si intensifica nella prima metà del XIV secolo. Nel frattempo, però, l’imponente costruzione gengiskhanide subisce mutamenti importanti. Alla morte del Gran Khan Mongka, avvenuta nel 1259 durante una spedizione in Cina meridionale, scoppiano rivolte per la successione che portano all'elezione di Qubilai. Il nuovo sovrano, che di lì a poco conclude vittoriosamente le campagne militari contro il regno dei Song, divenendo il primo imperatore straniero della Cina, ha tuttavia un'autorità poco più che formale fuori dai suoi possedimenti diretti, vista la trasformazione di fatto dell'immenso dominio in una federazione di quattro stati, portati a seguire destini indipendenti: ovvero, oltre all'impero del Gran Khan in Cina e Mongolia, l'impero Ilkhan in Persia, il canato dell'Orda d'Oro in Georgia e Russia meridionale, il canato di Ciaghatai in Asia centrale. Lentamente, inoltre, i conquistatori, numericamente esigui, privi di una vera identità nazionale e sprovvisti in molti casi di effettive capacità amministrative, finiscono per restare assimilati dalle società conquistate. Queste tendenze sono particolarmente evidenti nell'impero del Gran Khan, che Qubilai tende a cinesizzare rapidamente, e nel canato di Persia, dove i Mongoli, oltre ad islamizzarsi, devono fronteggiare sia la reazione delle aristocrazie locali, sia le invasioni di nuovi popoli nomadi di ceppo turco. In ambedue i regni le dinastie mongole si estinguono in meno di un secolo. Nel canato di Ciaghatai, invece, la disgregazione è soltanto ritardata dalle gesta di Tamerlano, che si proclama erede di Gengis Khan e restauratore dell'impero universale. Nel giro di pochi anni in effetti, fra la fine del XIV secolo e l'inizio del XV, questo capo musulmano del Turkestan, con una serie di fortunate campagne militari, costituisce un impero che dalla Mesopotamia arriva fino all'India. La morte lo ferma nel 1405, mentre si prepara alla guerra contro la Cina. I suoi successori regnano fra crescenti difficoltà per circa un secolo, facendo della capitale Samarcanda un centro di raffinata cultura e di mecenatismo. Bibliografia E. D. Phillips, L'impero dei Mongoli, trad. it., Roma, Newton Compton, 1979 W. Heissig, I Mongoli. Un popolo alla ricerca della propria storia, trad. it., Milano, Rusconi, 1982 G. G. Merlo, I Mongoli da Gengis Khan a Tamerlano, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, vol. II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1986-1988, tomo 2, pp. 555-574
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