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Le invasioni barbariche
L'Europa medievale ha preso forma attraverso la violenza e la distruzione delle invasioni. A partire dal 375, spinte dall'avanzata degli Unni, provenienti dalle steppe dell'Asia centrale, diverse popolazioni di ceppo germanico, fino ad allora in qualche modo respinte ai confini, si riversarono nei territori dell'impero. Erano gruppi non particolarmente numerosi, considerato che includevano donne e bambini, ma con una fortissima indole guerriera. A Oriente fecero incursioni e razzie, ad Occidente, con il procedere del V secolo, travolsero l'intera struttura politico-amministrativa di Gallia, Spagna, Africa settentrionale e Britannia. Neppure l'antico cuore dell'impero fu risparmiato. Senza colpo ferire, nell'indifferenza dei contemporanei, il capo militare Odoacre, eletto da mercenari barbari "re delle genti germaniche in Italia", depose nel 476 l'imperatore Romolo Augustolo ed assunse il potere mantenendolo fino al 489, quando la Penisola subì l'invasione degli Ostrogoti di Teodorico, che vi costruirono il loro stato. Con la fine dell'autorità imperiale in Occidente, dunque, si formarono una serie di regni che vengono tradizionalmente indicati come romano-barbarici. Le loro caratteristiche essenziali erano l'indipendenza dal potere imperiale di Costantinopoli (che alcuni dei nuovi sovrani riconoscevano solo formalmente), il mantenimento della struttura amministrativa romana, l'affermazione del principio che conquistati e conquistatori conservavano le rispettive leggi pur vivendo sul medesimo territorio. In molti casi si trattava di costruzioni ancora precarie, sia per le difficoltà di fusione fra i dominatori e le popolazioni autoctone, sia per le lotte interne alla grande famiglia germanica, sia per l'impatto di forze "esterne", come la pressione esercitata dai generali di Bisanzio, che l'ambizioso Giustiniano lanciò nella riconquista dei territori occidentali perduti. Fra il 533 e il 554, in effetti, l'Italia, l'Africa del Nord e le coste sud-orientali della Spagna tornarono a far parte dell'Impero d'Oriente, ma si trattò di una restaurazione di breve durata. Nella seconda metà del VI secolo, dopo la fine del sogno giustinianeo, sulla carta d'Europa spiccavano quattro grandi aree di insediamento destinate ad una notevole longevità: 1. il regno dei Visigoti, sviluppatosi a partire dal 418 intorno alla città di Tolosa ed estesosi nel corso di un secolo alla quasi totalità della Spagna; 2. il regno dei Franchi, con capitale Parigi, dilatatosi dopo il 486 fino a comprendere l'intera porzione centro-occidentale del continente; 3. il regno longobardo, che gravitava intorno a Pavia, eretto dopo l'invasione del 568 in un'Italia dove Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata, Puglia, Napoli, Roma, Ravenna e Venezia rimanevano in mano bizantina; 4. i regni Anglo-Sassoni in Inghilterra, frutto di quella penetrazione germanica, cominciata verso il 450, che aveva cacciato i Britanni verso la Scozia, il Galles, la Cornovaglia ed in parte verso l'odierna regione francese della Bretagna. Su questa Europa politicamente frazionata, ma che trovava un collante sempre più decisivo nel cristianesimo abbracciato dagli stessi barbari, all'inizio dell'VIII secolo si abbatté la marea montante dell'Islam: Arabi e Berberi d'Africa invasero la Spagna, ricacciarono i Visigoti nelle Asturie e si proiettarono fino in Gallia. Furono i Franchi ad arrestare un'espansione che appariva incontenibile: nel 732 la battaglia di Poitiers, insieme alla sconfitta dei musulmani, regalò all'Occidente un eroe dalla forza leggendaria: Carlo Martello. Bibliografia J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale, trad. it., Torino, Einaudi, 1981, pp. 15-48 e 129-146 Storia del Medioevo, a cura di R. Fossier, vol. I, I nuovi mondi (350-950), trad. it., Torino, Einaudi, 1984, cap. I P. Delogu, Longobardi e bizantini in Italia, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, vol. II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1986-1988, tomo 2, pp. 145-169
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